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Senza doversi necessariamente avventurare in mezzo agli oceani o sulle Alpi, ci sono casi di utilizzo più peculiari anche in aree imprevedibili, magari dietro casa: “Si pensi alle municipalità che hanno migliaia di cassonetti della spazzatura connessi con la scheda Sim per l’apertura – prosegue il ceo – per gestirle, un Comune deve bandire una gara ogni due o tre anni. Significa, ogni qual volta l’operatore cambi, aprire migliaia di cassonetti, togliere una Sim e sostituirla con un’altra, a costi esagerati. Ci hanno contattato perché con la nostra tecnologia assicurerebbero copertura anche a cassonetti che sono in una zona più disagiata dal punto di vista della connessione”. Presto, assicura Parissenti, non ci sarà solo la possibilità di ricevere dati, ma di inviare attivamente istruzioni ai dispositivi.
Costellazione completa nel 2027
Apogeo Space punta a portare in orbita entro il 2027 un centinaio di picosatelliti, in modo da rendere il servizio disponibile senza interruzioni. Il che non esclude l’infrastruttura sarà in aggiornamento continuo , proprio per le caratteristiche degli apparati in orbita terrestre bassa: “Potremmo dire che la costellazione non sarà mai terminata, perché nel momento in cui lanceremo gli ultimi apparati, i primi inizieranno a decadere, o comunque ne comanderemo il deorbiting e li sostituiremo con dispositivi più performanti e più aggiornati”.
“Alla loro quota – continua – i satelliti hanno una vita operativa massima stimata di due o tre anni. Poi cadono in maniera autonoma in atmosfera. Nell’ambito di un bando dell’Agenzia spaziale italiana, abbiamo comunque sviluppato un dispositivo di deorbiting, una vela che integreremo nei prossimi satelliti”.
I picosat di Apogeo sono un terzo più piccoli di un cubesat da 10 centimetri per lato: 10x10x3 quando sono chiusi. In questo modo possono sfruttare lo stesso dispositivo di rilascio – il cosiddetto deployer – a bordo della maggior parte dei razzi. È uno standard che garantisce più opportunità di lancio e smarca dalla dipendenza da un singolo vettore spaziale.
Non è un fatto marginale: Parissenti infatti smentisce la diffusa convinzione che vorrebbe crollati i prezzi per l’accesso allo spazio, almeno per gli attori più piccoli. I tanto pubblicizzati 6mila dollari al chilogrammo proposti alla clientela da SpaceX – che al momento esercita quasi un monopolio – riguardano chi voglia lanciare un satellite da almeno 50 chilogrammi. “Il fatto – spiega – è che per gli apparati miniaturizzati occorre sempre considerare anche la massa del deployer. Quando abbiamo comprato il lancio, nel 2017, si parlava di 55mila euro per singolo cubesat, che pesa un chilo. Oggi, per un cosiddetto ‘3U’ – un cubesat di tre unità, ndr – si va dai 100 ai 150mila euro. Non è cambiato poi molto”.