mercoledì, Gennaio 22, 2025

TikTok, la messa al bando ci mostra come le regole tech possono diventare armi geopolitiche

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Una recente decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti ha rischiato di segnare, di fatto, la fine delle operazioni di TikTok sul suolo americano. Nel 2024, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato la legge “divest or ban” che obbligava ByteDance, la società madre del celebre social network a vendere le sue attività a un’azienda americana entro il 19 gennaio 2025, pena il divieto di operare negli Stati Uniti. A seguito dell’impugnazione del provvedimento da parte del colosso cinese, la Corte Suprema ha confermato la messa al bando del servizio, anteponendo, all’esigenza di garantire la libertà di espressione, le preoccupazioni per la sicurezza nazionale legate al potenziale trasferimento dei dati di 170 milioni di utenti americani verso Pechino.

Il blocco rappresenta una misura senza precedenti e dalle evidenti implicazioni geopolitiche, specie in un contesto scandito dal contestuale insediamento della seconda presidenza Trump, che, peraltro, ha già annunciato delle misure finalizzate, quantomeno, a posticipare l’entrata in vigore del divieto.

Al di là delle mosse che la nuova amministrazione statunitense deciderà di intraprendere, la vicenda offre interessanti spunti di riflessione sul ruolo strategico che le principali potenze economiche attribuiscono allo strumento regolatorio nel settore digitale.

Il contrasto con l’Europa

La narrazione di un’Europa ostile all’innovazione tecnologica e incline a politiche eccessivamente restrittive viene qui definitivamente smentita: il blocco di TikTok dimostra come, anche in un paese notoriamente aperto all’innovazione e particolarmente permissivo come gli Stati Uniti, la tutela degli interessi nazionali rimanga la priorità nella definizione delle scelte legislative.

Da un lato, dunque, c’è l’Unione Europea che sta tentando di implementare, in un ambizioso e complesso progetto, un framework normativo per il settore digitale che, a partire dal GDPR fino al recente AI Act, intende garantire un’ampia tutela dei diritti fondamentali degli individui di fronte ai rischi posti dalle nuove tecnologie.

Dall’altra parte, ci sono gli Stati Uniti che, ad un approccio più sistematico, preferiscono l’adozione di misure mirate e molto più drastiche, volte a scongiurare l’acquisizione di un eccessivo potere da parte di Paesi e società private stranieri (nel caso TikTok, infatti, non si parla di una regolamentazione più prudente, ma, sostanzialmente, di un divieto tout court).

A questa diversità di approccio, tuttavia, si accompagna un’identità di fini: il diritto è, in ultima analisi, uno degli strumenti impiegati per l’attuazione di scelte politiche finalizzate a tutelare gli interessi nazionali.

Sarà senz’altro interessante monitorare gli sviluppi della vicenda, tenendo anche presente che l’eventuale ridimensionamento del bacino di utenze per TikTok potrebbe comportare una maggiore dipendenza della piattaforma dall’Unione Europea, che, come detto, non è notoriamente incline a fare sconti alle big tech. Del resto, la recente decisione della Commissione Europea di vietare l’uso di TikTok sui dispositivi aziendali dei propri funzionari rivela come alcune delle preoccupazioni relative alla sicurezza nazionale siano condivise anche dal Vecchio Continente.

La vera sfida per il futuro sarà trovare un equilibrio tra la necessità di proteggere gli interessi nazionali e l’esigenza di garantire un ecosistema digitale aperto e competitivo. Un obiettivo che, ancor prima che lo strumento regolatorio, richiederà dialogo e cooperazione, non solo interistituzionale, ma anche, e forse soprattutto, con i principali attori privati nell’ottica di elaborare nuovi modelli di governance nel rispetto dei diritti fondamentali.

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