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Nel corso dell’adunata degli Alpini che si è svolta dal 5 all’8 maggio tra Rimini e San Marino, decine di donne hanno raccontato di aver subito molestie fisiche e verbali. Le loro testimonianze sono state raccolte da Non una di meno – Rimini che, anche dopo l’accaduto, sta lavorando per tenere alta l’attenzione su quanto accaduto perché le istituzioni, sia a livello locale che a livello nazionale, sembrano non averne colto la gravità.
Le prime segnalazioni sono arrivate spontaneamente giovedì 5 maggio, primo giorno dell’adunata, come raccontano da Non una di meno. “Ci siamo domandate se ce ne fossero altre e abbiamo pubblicato una storia su Instagram – racconta una delle attiviste del collettivo riminese, A. -. Dopo la pubblicazione ci sono arrivate trenta segnalazioni in due ore e ad oggi siamo a più di 150”.
La logica del branco
Tra le trenta segnalazioni arrivate in poche ore nella giornata di venerdì c’è quella di Nicoletta, studentessa riminese: “Andando in bicicletta il cat calling è all’ordine del giorno, per cui quando tornando a casa sono incappata in un gruppo di cinquanta alpini che mi gridavano di tutto, non ci ho fatto troppo caso. Poi ho visto quella storia di Non una di meno e l’ho condivisa, subito dopo mi ha scritto subito una mia amica per dirmi che era capitato anche a lei”.
Ma il peggio per Nicoletta doveva ancora venire. Era sola nel bar dove lavora quando ha visto arrivare due gruppi di alpini: il primo era tranquillo, le hanno chiesto di usare la toilette e poi si sono diretti in bagno dopo aver ordinato da bere, ma quando è entrato il secondo gruppo e qualcuno ha iniziato a molestarla, si è unito a loro anche il primo gruppo, quello che sembrava più tranquillo. “All’inizio non ho reagito, sapevo che così facendo avrei solo peggiorato le cose, ma a un certo punto non ce l’ho fatta e gliene ho dette quattro, è lì che è iniziata la parte peggiore”, ha raccontato.
Nicoletta decide di andare in cucina a sbrigare delle faccende pur di ignorare quello che avviene in sala, ma il suo silenzio fa arrabbiare ancora di più gli alpini, specie quelli più giovani: “Hanno iniziato a dire che avevo qualcosa che non andava, che ero frigida, un ragazzo che avrà avuto ventisei anni a un certo punto ha iniziato a battere coi pugni sulla vetrina urlando: ehi, dico a te, stacci a sentire perché noi siamo Alpini!”. Sembrava, dice Nicoletta, che rivendicassero il loro diritto di molestarla proprio in virtù della loro appartenenza al gruppo ed è stata propria questa dinamica “da branco” che l’ha spaventata di più.
Predicare bene
Eppure, proprio far parte del corpo degli Alpini dovrebbe obbligare a un rispetto ancora maggiore del prossimo, specie se si tratta di una ragazza sola che sta lavorando o che cammina per strada, perché in quel momento non si rappresenta solo sé stessi ma anche tutto il corpo degli Alpini. Sul sito dell’Ana (Associazione nazionale Alpini) è possibile leggere un Decalogo dell’Adunata in cui, tra le altre cose, si legge: “Portare il cappello alpino non autorizza alcuno a sentirsi superiore agli altri, anzi! Chi si dovesse macchiare di questa colpa dovrà essere subito espulso dalla Sezione. Uno degli spettacoli più rivoltanti è offerto da quanti alzano il gomito – continua il decalogo -. L’ubriachezza è uno dei vizi peggiori dell’uomo: degrada e svilisce l’individuo compromettendone la dignità personale”.