mercoledì, Febbraio 5, 2025

Perché tra mille anni leggeremo ancora Stephen King

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Una serata di festa, le chiacchiere fra amici, le presentazioni con i nuovi arrivati, i piatti che arrivano in tavola fumanti, la musica suonata dal vivo, il racconto di un ospite bizzarro ma affascinante. Fin qui tutto normale. Ma la festa si svolge a casa di Alcinoo, il re dei Feaci, popolo mitologico dalle connotazioni magiche, l’ospite appena arrivato è Ulisse, e il racconto che allieta i commensali è quello dell’Odissea. Perché nell’antica Grecia i poemi venivano cantati a tavola, nelle feste, erano un intrattenimento per tutti, né più né meno che la televisione accesa. Quelli che a noi sembrano polpettoni noiosi e senza senso, che ci hanno tenuti costretti sui banchi a sudare per una traduzione o una versione in prosa erano semplicemente canti, racconti, l’equivalente non tecnologico di una serie su Netflix. E come Omero, i grandi classici, da Dante a Dickens a Dumas, nascono come opere pop, opere la cui grandezza resta intatta nel tempo proprio perché hanno la forza di parlare a tutti, di raccontare storie che non sono patrimonio esclusivo di intellettuali ed eruditi. Storie come quelle che oggi sanno raccontare maestri come Stephen King.

Le serie tv della Grecia antica

La tradizione vuole che l’autore dell’Iliade e dell’Odissea sia uno solo, Omero, un cantore cieco capace di intrecciare storie fantastiche. Molti studiosi invece ritengono non solo che i due poemi siano opera di mani diverse, ma che a loro volta siano la raccolta di più opere, frutto dell’ingegno di differenti cantori. Quel che è certo è che le storie di Achille, Ettore, Odisseo e compagni non erano fatte per essere parola scritta, privilegio di pochi colti. Erano canti, musica e parole, creati per divertire e affascinare. È Omero stesso a mostrarci quello che accadeva quando l’aedo cantava il suo canto. Alla tavola di Alcinoo l’intrattenimento è affidato a una vera rockstar, Demodoco, amatissimo a corte, che declama, come episodi di una serie tv che si succedono, i diversi momenti della guerra di Troia. Ma Odisseo sa, era presente, e si commuove. Gli altri non conoscono la sua identità. E gli chiedono il perché delle sue lacrime. Inizia il suo racconto: la partenza da Troia, l’incontro con i Lotofagi, quello con il terribile Ciclope Polifemo. Una storia nella storia, in cui Ulisse è cantore di se stesso, uno zoom che ci fa entrare nella vicenda, e ci dà la possibilità di vedere come questa veniva raccontata. Una storia la cui grandezza è arrivata intatta fino a noi: spogliata di quelle figure retoriche e di quelle particolarità grammaticali che la fanno troppo spesso odiare dagli studenti, l’avventura di Ulisse è ancora adesso bella da leggere e da sentire, tanto che continuiamo a trasformarla in nuovi film e in nuove fiction.

Sono solo canzonette

Il più classico dei classici in Italia è sicuramente la Divina Commedia. Tutti la conosciamo: l’abbiamo studiata a scuola, ne abbiamo sentito declamare i versi in tv da Gassman e da Benigni, abbiamo letto le parodie di Topolino e di Paperino. Certo, perché Dante è così versatile da potersi trasformare in un cartone animato o in un fumetto. E quei versi che oggi ci possono sembrare distanti o oscuri non lo erano, anzi. La Commedia era un’opera assolutamente popolare. Lo testimonia Franco Sacchetti, che pochi anni dopo la morte del Sommo Poeta nel suo Trecentonovelle raccontava questo episodio avvenuto a Dante mentre era a passeggio: «…battendo ferro uno fabbro su la ’ncudine, cantava il Dante come si canta uno cantare, e tramestava i versi suoi, smozzicando e appiccando, che parea a Dante ricever di quello grandissima ingiuria. Non dice altro, se non che s’accosta alla bottega del fabbro, là dove avea di molti ferri con che facea l’arte; piglia Dante il martello e gettalo per la via, piglia le tanaglie e getta per la via, piglia le bilance e getta per la via, e così gittò molti ferramenti. Il fabbro, voltosi con uno atto bestiale, dice:

“Che diavol fate voi? sete voi impazzato?

Dice Dante:

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