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Arrivati ad Assassinio a Venezia, terzo film della serie di Poirot diretta e interpretata da Kenneth Branagh, sarebbe lecito aspettarsi un po’ più di corpo nell’introdurre il contesto. Stavolta siamo (appunto) a Venezia e capiamo tramite una certa ritrosia e attraverso la presenza di Riccardo Scamarcio come guardia del corpo, che Poirot vuole essere lasciato in pace, non vuole indagare nonostante schiere di questuanti glielo richiedano. Non è in vacanza, è che proprio è da diverso tempo che non indaga, ha dubbi ed esitazioni ma lungo tutto il film non capiremo esattamente il perché di questo iato. E non è chiaro come mai il film non voglia impostare bene questa situazione. Specialmente perché molto di quel che accade in Assassinio a Venezia è figlio della fatica dell’investigatore, un po’ arrugginito dalla scarsa pratica.
La croce e delizia del film stavolta sta tutta nel fatto che Branagh non ha affrontato capisaldi già diventati film (come Assassinio sul Nilo o Assassinio sull’Orient Express) ma un racconto di Agatha Christie meno famoso (Poirot e la strage degli innocenti) potendosi permettere non solo di cambiare location e ambientarlo a Venezia ma anche di stravolgere la storia, i toni, e le finalità a suo piacimento. L’intreccio quindi non è scritto con la consueta precisione di Agatha Christie, e si sente, lasciando più spazio a un lavoro su ambienti, luci, toni e altri generi come il cinema di tensione e (vagamente) l’horror.