Bentrovati cari lettori di LinkinMovies.it, oggi è domenica! Cioè è stata domenica, ma comunque la prima e unica domenica della Mostra. Questo cosa significa: tanto pubblico, un gran numero di addetti al settore e stampa che da domani cominceranno a salutare il Lido come di consuetudine, e poi tanto caldo, anche se questo non è del tutto collegato al fatto che sia stata domenica.Il programma odierno è stato intenso, ma per voi abbiamo selezionato alcuni spunti da condividere. Prima però, torniamo a ieri, sabato.
Torniamo per un attimo a ieri. Come segnalato al termine delle cronache dal Lido di ieri, dobbiamo parlare della conferenza stampa di Harmony Korine che a Venezia 80 ha portato Aggro Dr1ft, proiettato in quello spazio di cinema che un po’ ci manca, ossia la proiezione di mezzanotte. Le foto sono già circolate, quindi avete già visto lui che in compagnia del capo dipartimento di Edglrd, Henry Kohn e Joao Rosa che si è occupato degli effetti visivi, si sono presentati con indosso delle maschere. A parte questo dettaglio, che rimane rilevante perché il dubbio che fossero davvero loro c’era, la conferenza stampa si è svolta normalmente. Brevemente di cosa tratta il film. Riportiamo la sinossi sul catalogo: «Nello squallido ventre criminale di Miami, un esperto sicario si lancia alla ricerca spietata del suo prossimo obiettivo. Ripreso interamente con lenti termiche, l’uomo si muove in un mondo perverso in cui regnano incontrastate violenza e pazzia. La tensione porta a un viaggio psichedelico in cui il limite tra predatore e preda quasi scompare». Korine ha affermato che Aggro Dr1ft vuole sperimentare, mostrando quello che c’è dopo il cinema. A lui non interessa il film lineare, aspetto che abbiamo già messo in evidenza nella puntata del nostro podcast a lui dedicata, ma creare un film sensoriale che porti dentro il gioco; vuole approfondire nuove estetiche senza limitazioni, rivisitare completamente il processo di creazione di un film. Per questo, come suggerito anche dalla moderatrice, la selezionatrice Giulia D’Agnolo Vallan, il film è ripreso con telecamere termiche al fine di creare un senso di instabilità e di innovazione attraverso la tecnologia. Insomma Aggro Dr1ft mostra il futuro, almeno tecnologico, del cinema. Il film non ha una sceneggiatura, propriamente detta, ha aggiunto Korine, la storia è semplice, ci sono pochi personaggi ed è girato in Florida, dove il regista vive, perché crede che questo territorio sia perfetto per dirigere un film criminale. Qualcuno gli ha domandato come mai tutti e tre indossassero delle maschere e perché continua a fare film se quando vede un film si sente morto dentro, dice lui, e soprattutto perché li porta a Venezia. Korine ha risposto che vuole divertirsi e che viene al Lido dal suo primo film, Gummo presente nella selezione della Settimana Internazionale della Critica, e quindi ci voleva tornare anche quest’anno. Facile, no?! Korine sicuramente stupisce. Non sappiamo se il suo film sia davvero così innovativo. Aspettiamo di vederlo.
Sempre ieri si è svolto un flash-mob, anche detto manifestazione di protesta e di sostegno, verso il popolo iraniano contro la repressione politica, civile e culturale in atto. La manifestazione ha avuto la sua conclusione sul tappeto rosso con cori e cartelloni tenuti dal direttore Barbera, dai membri della giuria e dagli attivisti. Poi è comparsa una bandiera della Palestina, ma non sappiamo per quale motivo. La manifestazione ha voluto anche ricordare la censura attuata sul film di Saeed Roustayi, Leila e i suoi fratelli e sul conseguente programma di rieducazione a lui imposto dal regime di Teheran (ne abbiamo parlato nella parte finale della dodicesima puntata del nostro podcast). L’iniziativa è stata lodevole, rimarcando il potere di sensibilizzazione politico oltre che culturale della Mostra del Cinema e della Biennale di Venezia.
E il cinema? Eccolo!David Fincher arriva per la prima volta al Lido con The Killer interpretato da Michael Fassbender, in Concorso. Come suggerisce il titolo, il film parla di un killer, metodico e preciso: uno di quelli che sa cosa deve fare e lo fa con assoluto rigore. La pellicola, infatti si apre con la voice over del killer che recita le sue regole fredde, rigide, inderogabili, espone il suo modo di vivere per essere così il killer professionista che è. Il prosieguo della storia smentisce tutto questo e proprio la sua necessità di improvvisare e non di essere un gelido calcolatore, lo portano ad affrontare un viaggio in giro per il mondo per vendetta. The Killer, infatti, è un film di vendetta, di rivincita che scombina i piani dell’assassino. Inizia bene, convince nella parte di spiegazione della storia, anche Fassbender, fisso e penetrante nelle sguardo, ammalia e seduce chi guarda. Quando avviene il momento di crisi che porta al successivo processo di vendetta, la pellicola regge, proprio perché l’attore irlandese se la prende sulle spalle e Fincher gli sta incollato. Tutto bene fin qui, addirittura abbiamo pensato che The Killer potesse un nuovo Zodiac per come Fincher gioca con lo spettatore, confondendolo con lo svolgimento della storia e nascondendogli, attraverso un montaggio serratissimo, quei dettagli utili alla comprensione. Poi, però, è arrivato il momento in cui il film si è trovato a un bivio: o confermava e rilanciava o si appiattiva ed è avvenuta la seconda scelta. Purtroppo nella seconda parte lo schema narrativo e le scelte linguistiche si retinarono, diventano quasi prevedibili, soprattutto in una scena in cui l’assassino lotta furiosamente con un uomo, e persino Fassbender, il suo sguardo, il suo corpo, la sua missione perdono intensità. Nel dialogo finale, poi, l’attore è davvero scarico di tensione, come la stessa pellicola la quale si adagia su un risvolto che all’inizio non si sperava che avvenisse. Un vero peccato! The Killer ricorda L’amore bugiardo – Gone Girl in quanto soffre dello stesso problema di calo improvviso di tensione. A Fincher è mancato, in entrambi i film, lo spunto per proseguire. In The killer, inoltre, ha curato molto la parte tecnica, la fotografia di Erik Messerschmidt è coinvolgente perché spegne la luce quando deve, per far piombare lo spettatore nel mistero, ma anche questa scelta nello svolgimento del film si perde. Ti sosteniamo lo stesso David, però potevi coinvolgerci di più con questo nuovo film.
Finalmente abbiamo visto The wonderful story of Henry Sugar di Wes Anderson, fuori concorso, che risuona nelle voci del pubblico della Mostra 2023 e dalle colonne della stampa da diversi giorni. Allora, come anticipato nel nostro tweet su X (non più Twitter, quindi si chiamano ancora tweet?) il mediometraggio o cortometraggio, lasciamo a voi la definizione, è semplicemente un film più corto di Wes Anderson. Ha lo stile, l’estetica, le scenografie, la musiche, i costumi, i movimenti di macchina, i dialoghi surreali e i monologhi recitati velocemente con un piglio arguto e l’atmosfera da favoletta, tutti elementi tipici di un film di Wes Anderson a partire da Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Gli attori sono i medesimi di altre pellicole come Ralph Finnes, Benedict Cumberbatch a cui si associano Ben Kinsley,Dev Patel e Richard Ayoade quasi irriconoscibile. La storia si rifà a una narrazione di Roald Dahlsu un uomo molto ricco che viene a conoscenza dell’esistenza di un guru in grado di vedere senza usare gli occhiali. C’è da dire che il cinema di Anderson è affascinante perché crea delle illusioni ottiche bidimensionali sfruttando la prospettiva come si faceva all’inizio della storia del cinema. Non abbiamo altro da segnalare. Se vi piace il cinema di Wes Anderson guardartelo, se non vi piace non guardatelo. Il corto o mediometraggio, che dir si voglia, non è in grado di far pendere l’ago della bilancia né da una parte, né dall’altra.
La visione del corto di Anderson è stata associata alla proiezione del documentario La parte del Leone: una storia della Mostra di Baptiste Etchegaray e Giuseppe Bucchi, unico evento che celebra i 90 anni della Mostra del Cinema. Prodotto da Canal+ e Rai Cultura, prende parzialmente in esame la storia del festival di Venezia. Il pubblico che non conosce la manifestazione e guarda il documentario per farsene un’idea, capisce che la Mostra ha presentato principalmente e in particolare film di produzione americana, francese e italiana; che ha amato molto la Nouvelle Vague e non è stata tenera con i grandi registi italiani del dopoguerra come Luchino Visconti o Federico Fellini; che i grandi film d’apertura degli ultimi anni sono stati Gravity di Alfonso Cuaron e Birdman di Iñárritu; che la Mostra ha avuto alcune significative figure femminili che l’hanno attraversata come Agnès Varda, Cate Blachett, Monica Bellucci; che negli anni Sessanta c’è stata una contestazione; che nel 2020 si è svolta un’edizione importante per il contesto storico e che L’ultima tentazione di Cristo di Scorsese ha creato grandissima indignazione da parte dei gruppi cattolici. C’è molto di più nella storia della Mostra, ma molto di più! E delle origini? Solo un accenno, tra l’altro deprecando la fase fascista e soprattutto il Conte Volpe di Misurata, suo fondatore. Del resto delle cinematografie che hanno visto trionfi e lodi a Venezia, soprattutto quelle orientali? Solo un accenno, dicendo che nel 1951 ha vinto Rashomon di Kurosawa e che il festival è stato il ponte per la scoperta di film cinesi, taiwanesi e giapponesi come dice la voce narrante di Carla Bruni. Il documentario quindi, si presenta scarno, polarizzato su un punto di vista francese in quattro celebra e lascia molto spazio ai registi d’oltralpe che hanno vinto o sono passati al Lido, e poi ha affidato il ricordo alle interviste a Blanchett, a Iñárritu, Chazelle, Monica Bellucci e qualche parola di Alberto Barbera. Per fortuna c’è un bel momento dedicato a Pedro Almodóvar come anche a Luca Guadagnino. Ma davvero la storia della Mostra la possono raccontare questi registi e attrici? Davvero non c’erano altri personaggi del mondo cinematografico contemporaneo in grado di raccontarla, non solo in tutta la sua storia, ma anche per gli ultimi anni? Pensiamo a giornalisti, storici non necessariamente italiani. L’unico parere un po’ più autorevole è Marco Bellocchio. Dubbi, riflessioni negative e poi visivamente non funziona. La parte del Leoneregisticamente è un documentario di montaggio, in cui ogni tema, tra cui la questione di genere, la contestazione, le innovazioni, le scoperte, è affrontato con superficialità e velocità. A guardarlo non viene curiosità di approfondire, interesse nella comprensione di questo evento (perché è nato, come si è evoluto, che tempi difficili ha superato) e neanche emozioni o fascino. Cari lettori, se volete realmente approfondire la storia della Mostra leggete il libro di Gian Piero Brunetta dal titolo La Mostra internazionale d’arte cinematografia di Venezia edita da Marsilio. Già, Brunetta dov’è in questo documentario? La Mostra del Cinema si meritava molti altri festeggiamenti e un documentario fatto con maggiore amore.
Alcune parole della stampa. Ultima riflessione sulla giornata di oggi. Sul Ciak in Mostra, il quotidiano di informazione giornaliera distribuito alla Mostra, oggi è apparso un breve editoriale di Laura Delli Colli dal titolo “Nuovo cinema kolossal”. La giornalista ha messo in evidenza i budget elevati per gli standard produttivi italiani dei film nostrani in concorso. Quindi si è domandata: «Il cinema italiano segna un’inversione di rotta puntando sull’equazione secondo la quale più investimenti renderebbero meno altro il rischio?», qui si riferisce alla possibilità di incassare poco. Lei stessa risponde che ciò è possibile e pure il direttore Barbera, interpellato nell’articolo, sostiene questa tesi, non meravigliandosi e avvallando la tesi per cui questi investimenti avvicinano il cinema italiano a quello internazionale. Il direttore, stando all’editoriale, mette anche in evidenza che i nuovi produttori come Lorenzo Mieli con The Apartment o Mario Gianni con Wildside, o la coppia Giuliano-Cima con Indigo hanno più voglia di investire, dimostrando così, un coraggio che fino a qualche tempo fa era impensabile. Il riferimento è all’alto budget di Comandante di De Angelis che ha aperto la Mostra. Strano ragionamento questo di Barbera e della giornalista in quanto se la Mostra fosse stata aperta da Challengers di Guadagnino, sarebbero lo stesso sorte queste osservazioni? E poi, finanziare con grossi budget i film cosa dovrebbe significare? Se si riempie il mercato di grosse produzioni, non significa che il cinema ne tragga vantaggio. La regola commerciale per cui saturare il mercato di titoli è vecchia e superata. Non sarebbe meglio mettere in evidenza la qualità dei film come valore aggiunto di questa Mostra? Certo Comandante e Adagio non l’hanno dimostrato e Finalmente l’alba di Costanzo pare non abbia del tutto convinto, per quanto sia un film più apprezzabile. Quindi perché citare questi dati? Per dire che l’industria cinematografica italiana ha finalmente i soldi? E ciò che attinenza ha con la qualità dei film? Il film non è l’immagine, ma è un insieme di elementi linguistici e questo sia Barbera che la giornalista dovrebbero saperlo.
Per salutarvi, dal momento che non l’abbiamo pubblicata ieri per questioni tempo, vi lasciamo con una foto del caro Tony insieme al suo personalissimo Leone d’oro. Guardate come lo stringe! A domani!
Crediti fotografici. Foto 1, Photocall – The killer – FIlm delegation (Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia – Foto ASAC) (3) Foto 2, Press conference – Aggro Dr1ft – Directori Harmony Korine (Credits Giorgio Zucchiatti La Biennale di Venezia – Foto ASAC) (2) Foto 3, The Killer – Actor Michael Fassbender (Credits Netflix) (2) Foto 4, The wonderful story of Henry Sugar – Actor Benedict Cumberbatch (Credits Netflix) Foto 6, Comandante, Actor Pierfrancesco Favino (Credits Enrico De Luigi) (3) Foto 7, Award ceremony – Tony leung Chiu-Wai (Credits Andrea AvezzùLa Biennale di Venezia – Foto ASAC) (3)
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