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A cosa serve la campagna del piano anti-inflazione del governo? A molto poco. Quasi a niente. E dato che ormai gli italiani ragionano sulla base del “meglio di niente” come parametro di fondo (basta guardare gli importi dell’assegno unico per i figli), un po’ d’acqua al mulino del governo Meloni la porterà. Specie se l’inflazione mollerà la presa in autunno, anche se difficile. A settembre abbiamo registrato un lieve rallentamento ma l’energia tornerà a mordere, c’è chi vede il petrolio a 100 dollari al barile, e i beni alimentari viaggiano comunque oltre il +8%.
In sostanza la campagna del patto anti-inflazione è riassumibile come una forte “azione persuasiva” nei confronti della grande distribuzione organizzata, i cui supermercati rappresentano la stragrande maggioranza dei negozi aderenti – con buona pace dei piccoli esercizi, che in questo modo assisteranno a un’ulteriore scomparsa della clientela. E che di fatto continuerà a fare ciò che ha sempre fatto: applicare ribassi, prezzi bloccati e sconti in gran parte ai prodotti dei propri marchi commerciali, dove le sigle hanno un controllo molto forte della filiera. La sensazione, insomma, è che le varie promozioni di questi anni prenderanno per tre mesi le fattezze del carrellino meloniano. Tutto qui. Niente di più e niente di nuovo, come d’altronde c’è da attendersi se si spaccia il potere di intervenire sul mercato libero in modo scomposto e disordinato. Governo e Parlamento dovrebbero ragionare (e vigilare) sull’Iva (l’hanno fatto, molto poco per i prodotti per l’infanzia per esempio, e i produttori hanno subito neutralizzato alzando i prezzi), accise, tasse e servizi.
A proposito di accise: la campagna rappresenta anche la massima evidenza possibile della contradditorietà che anima molti esponenti dell’esecutivo. Da una parte il governo ha spiegato nei mesi scorsi, sull’onda degli aumenti della benzina, che tagliare le accise sui carburanti, oltre che molto costoso, sarebbe ingiusto perché opererebbe un taglio lineare di cui potrebbero godere tutti gli italiani, da chi ha difficoltà economiche a chi è benestante. Non risulta però che all’ingresso dei supermercati venga richiesto l’Isee… L’unica differenza è insomma il costo per le casse dello Stato: il trimestre anti-inflazione è una bandierina a impatto zero, e risparmio quasi indecoroso per i cittadini, ridurre le accise sulla benzina costa tanto. E con i conti in bilico del nostro paese, non è il momento. Anzi non sarà mai, il momento, perché le accise rendono oltre 20 miliardi di euro l’anno al bilancio statale.
Il trimestre anti-inflazione sconta – di nuovo, non potrebbe che essere così visto che non siamo a Cuba – una serie di elementi che ne tradiscono la chiara impronta populista e ne contraddistinguono l’inutilità assoluta. Non c’è un elenco dei prodotti da proporre a prezzi calmierati o ribassati: sono gli esercenti a deciderlo dentro un insieme molto ampio di beni di prima necessità e per la cura della persona e dell’infanzia. E magari qualcuno penserà di ribassarne davvero pochi, sui propri scaffali, per poter comunque esporre il contrassegno dell’iniziativa e raccogliere più clienti nel suo punto vendita. Non c’è, e in questo caso per ragioni di mercato, il fresco, troppo influenzato da una gran quantità di fattori. Forse qualche euro lo terremo in tasca, è vero, ma con la conseguenza di affidarci fra l’altro a brand commerciali che – godendo di un volume di vendite aumentato – riporteranno nelle tasche della gdo quel poco a cui le grandi insegne potranno aver rinunciato per qualche settimana di questo pazzo autunno. Un bel regalone a chi ne avrebbe meno bisogno.
