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Nel comunicato ufficiale con cui ha annunciato con orgoglio questa assegnazione, l’Autorità saudita per la governance digitale ha dipinto un futuro promettente, sottolineando i recenti successi del regno nel settore digitale, ma evitando di menzionare le criticità del proprio sistema per nulla democratico. Tra i successi elencati, l’Arabia Saudita afferma di essersi classificata al secondo posto nell’indice di competitività digitale tra i paesi del G20 e di aver raggiunto il terzo posto a livello globale su 198 paesi dell’indice Govtech maturity stilato dalla Banca mondiale, che misura l’impegno governativo nella promozione della tecnologia nel proprio paese. Inoltre, fanno sapere in una nota che l’economia del digitale contribuisce al 15% del prodotto interno lordo del paese.
La lettera delle ong
Per le 45 organizzazioni della società civile, che il 12 ottobre hanno chiesto in una lettera aperta al segretariato generale Onu di annullare l’assegnazione all’Arabia Saudita, la gravità non sta solo nel tentativo maldestro di ripulitura della propria immagine da parte del governo saudita. Secondo l’appello, l’incontro Igf in un paese con una situazione preoccupante sul piano dei diritti umani, con persecuzioni online e offline nei confronti di giornalisti, attivisti e della comunità lgbtq+ per i loro comportamenti e opinioni, minaccerebbe lo stesso modello plurale alla base del forum. La scelta di Riyadh come città ospitante, si legge ancora nella dichiarazione, “normalizza la violenza e sostiene tacitamente tattiche scioccanti e repressive”. Le organizzazioni si sono dette preoccupate per possibili “ritorsioni, molestie o minacce da parte del governo” ai partecipanti, anche a distanza di tempo.
Secondo Marwa Fatafta tra i responsabili dell’associazione di monitoraggio digitale Access Now, questa è un’assegnazione “pericolosa e assurda”. “A un governo che opprime e perseguita le donne attiviste, mette a tacere i critici e cancella la libertà di stampa non può essere concessa l’opportunità di un palcoscenico mondiale, sostenuto dalle Nazioni Unite” dove affrontare “le questioni più urgenti del nostro tempo legate a internet”.
Una decisione, quella delle Nazioni unite, che appare ancora più inspiegabile, se prendiamo gli ultimi casi di cronaca di cui abbiamo conoscenza e che riguardano la repressione online da parte delle autorità saudite. A settembre la studentessa diciottenne Manal al-Gafiri è stata condannata a 18 anni di carcere e a un divieto di viaggio della stessa durata per alcuni tweet in cui esprimeva sostegno a favore dei prigionieri politici nel paese.