venerdì, Dicembre 27, 2024

I dissalatori aiutano o no a combattere la crisi climatica?

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A ottobre l’Algeria ha annunciato un piano di spesa da 5,4 miliardi di dollari per costruire altri dissalatori, in modo da produrre più acqua potabile dal mare e mitigare l’impatto della siccità. Da una ventina d’anni, infatti, le piogge si sono fatte più rare, riducendo le riserve idriche e costringendo le autorità a razionare, tra le proteste, l’acqua alla popolazione. Grazie ai cinque nuovi desalinizzatori che entreranno in funzione quest’anno, il paese potrà ricavare 3,7 milioni di metri cubi di acqua potabile al giorno dal mar Mediterraneo – attualmente la capacità è di 2,2 milioni – e garantire il fabbisogno dei suoi 47 milioni di abitanti, peraltro in crescita. Per il 2030 sono previsti ulteriori sei impianti, con l’obiettivo di portare la quota di acqua dolce ricavata dalla dissalazione dal 42% al 60% entro la fine del decennio.

I casi opposti di Spagna e Italia

Anche il vicino Marocco investirà più di 3 miliardi di dollari nei dissalatori, ma non si tratta di un tema confinato all’“altra sponda” del Mediterraneo. La Spagna, ad esempio, è il paese europeo con più impianti di dissalazione, nonché uno dei maggiori utilizzatori di questa tecnologia – molto popolare soprattutto tra gli stati del golfo Persico – al mondo: la sfrutta per l’agricoltura ma anche per assicurare i consumi idrici domestici nella stagione estiva, quando c’è un massiccio afflusso di turisti. Ci sono circa un centinaio di desalinizzatori di grossa taglia sul territorio spagnolo e quello di Torrevieja (parte della comunità autonoma di Valencia) è il più grande impianto a osmosi inversa d’Europa, un processo che sfrutta la pressione per pompare l’acqua marina attraverso una membrana che ne filtra i sali. Lo scorso luglio il governo ha assegnato un appalto da 89 milioni di euro per espandere il sito di Torrevieja e aumentare così del 50% la produzione di acqua dissalata.

Nonostante le somiglianze climatiche ed economiche (agricoltura e turismo) con la Spagna, l’Italia invece utilizza pochissimo le tecnologie di dissalazione, pur avendo facile accesso al mare e pur avendo problemi di distribuzione idrica. Nell’ultima estate, per ragioni sia di scarsità delle piogge che di carenze infrastrutturali, ci sono stati gravi casi di razionamento nelle isole, in Puglia e in Abruzzo; già il 2022 e il 2023 erano state annate particolarmente secche che causarono danni notevoli all’agricoltura. Fornendo acqua per l’irrigazione dei campi, per le case e per le strutture turistiche, i desalinizzatori possono rappresentare una soluzione – per quanto parziale – alla crisi idrica: e infatti a settembre la Sicilia ha ottenuto dal governo il via libera alla riattivazione degli impianti di Porto Empedocle, Paceco e Gela, per una spesa di 100 milioni di euro.

Il problema energetico dei dissalatori

Il problema dei dissalatori, responsabile della chiusura delle strutture siciliane, sono però gli alti costi di gestione. Il processo di osmosi inversa, il più utilizzato, consuma molta energia e ne richiede una fornitura costante. Ma se l’elettricità che alimenta gli impianti proviene da una fonte fossile, la dissalazione rischia di essere un rimedio per la questione idrica e al contempo una complicazione per la questione climatica: l’Algeria, ad esempio, vuole far funzionare i suoi dissalatori con l’elettricità generata dal gas naturale, di cui è una grande produttrice.

Gli impianti a osmosi inversa di ultima generazione sono più efficienti e hanno un’intensità energetica inferiore rispetto a quelli vecchi, ma il prezzo finale dell’acqua dissalata rimane comunque legato al costo dell’elettricità. Il calcolo economico è particolarmente rilevante per il settore agricolo, che di acqua ne utilizza tanta e ha bisogno che costi poco per poter vendere frutta e ortaggi a buon mercato; in prospettiva, anche i complessi industriali potrebbero dover investire nei desalinizzatori in modo da garantire il fabbisogno idrico delle fabbriche evitando di pesare sui bacini.

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