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Tutti abbiamo brutti ricordi di cui faremmo volentieri a meno. In alcuni casi, però, la memoria di un evento negativo può diventare una maledizione, che torna a tormentare di continuo la coscienza, provocando la comparsa di autentiche patologie mentali come il disturbo da stress post traumatico, o il disturbo ossessivo compulsivo. Per chi soffre di problemi simili, eliminare i ricordi molesti, o quanto meno indebolirne la valenza emotiva, potrebbe essere una terapia efficace per ritrovare una qualche forma di pace. Gli psicologi ci provano da decenni, ma estirpare dalla memoria esperienze così cariche di emozioni si è rivelato estremamente difficile. Almeno fino ad oggi: un team di ricercatori di Hong Kong ritiene infatti di aver trovato il modo, sfruttando l’associazione tra parole e ricordi, e la stimolazione acustica del cervello durante il sonno.
Sonno e ricordi
Durante la notte il nostro cervello è tutt’altro che a riposo. Lavora infatti incessantemente per mettere ordine agli eventi della giornata, e rendere stabile e duratura la memoria delle esperienze che abbiamo vissuto trasformandole in ricordi a lungo termine. Viene definito consolidamento della memoria, e in termini molto generali consiste nella riattivazione delle esperienze vissute, che rafforza la stabilità dei ricordi tenendo conto anche della loro rilevanza, e delle altre informazioni presenti nel nostro cervello.
Diversi aspetti di questi processi sono a tutt’oggi misteriosi, ma i neuroscienziati sono comunque riusciti da tempo a sfruttare il consolidamento della memoria che avviene durante il sonno per guidare e rinforzare la creazione di nuovi ricordi. Viene definita targeted memory reactivation, e si effettua associando uno stimolo sensoriale – come un suono o un odore – a un’esperienza, e poi facendolo sperimentare durante il sonno non Rem (la fase in cui si suppone avvenga principalmente la consolidazione delle memorie), per stimolare il cervello a rivivere il ricordo dell’esperienza e rafforzarne così la memoria. La tecnica viene studiata da tempo anche per fare l’inverso: indebolire, o cancellare, i ricordi sgraditi. Ma i risultati delle ricerche svolte in questo campo, fino ad oggi, sono stati meno chiari.
Interferire con la memoria
Nel nuovo studio, pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, i ricercatori hanno messo alla prova una stratega duplice, che prevede una prima fase in cui una nuova memoria positiva viene associata al ricordo negativo, in modo da interferire con quest’ultimo, e poi una seconda in cui il nuovo ricordo viene riattivato durante il sonno attraverso la targeted memory reactivation.
Il loro esperimento si è svolto così. In una prima giornata i ricercatori hanno mostrato a un gruppo di volontari una serie di immagini negative – rappresentati, ad esempio, persone ferite o animali pericolosi – utilizzando poi degli esercizi mnemonici per associare a ciascuna una parola priva di senso. L’indomani, dopo una nottata di sonno in cui le nuove memorie avevano avuto tempo per consolidarsi, l’esercizio mnemonico è stato ripetuto, associando però questa volta delle immagini positive (bambini sorridenti, paesaggi idilliaci, e via dicendo) a metà delle parole utilizzate nella sessione precedente. La stessa notte, quindi, i ricercatori hanno utilizzato la targeted memory reactivation, facendo ascoltare le parole prive di senso associate alle immagini durante la fase di sonno Nrem dei partecipanti.
I risultati
Studiando le onde cerebrali dei partecipanti, i ricercatori hanno notato un picco di onde theta, associate alla memoria emotiva, quando ascoltavano le parole connesse alle immagini positive. Un buon segno, confermato anche dai test effettuati nei giorni successivi. Utilizzando una serie di questionari, i ricercatori hanno confermato che i partecipanti avevano maggiori difficoltà a ricordare le associazioni di immagini e parole in cui quelle negative erano state sovrascritte da immagini positive.
È chiaro che per ora si tratta di risultati del tutto preliminari, ottenuti nell’ambito di un esperimento di laboratorio strettamente controllato, e lavorando su ricordi negativi con una carica emotiva molto ridotta rispetto a quelli che possono indurre la comparsa di problemi psicologici o psichiatrici, come lutti, violenze, o incidenti. Al netto dei limiti appena citati, secondo i suoi inventori la tecnica si sta rivelando promettente, e meriterà in futuro ulteriori ricerche. Se anche non si rivelasse in grado di eliminare i brutti ricordi, ma permettesse comunque di ridurne la “forza” e quindi li rendesse meno in grado di interferire con la vita quotidiana, avrebbe infatti, comunque, un ottimo potenziale terapeutico. E lavorando di fino sugli stimoli sensoriali da utilizzare per la la targeted memory reactivation, sulle aree del cervello coinvolte e sulle fasi del sonno in cui si interviene, potrebbe essere possibile ottimizzarne ulteriormente l’efficacia.