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Per osservare la polvere del Sahara a volte basta dare uno sguardo i nostri cieli, altre invece ci vengono in aiuto i satelliti, grazie a cui per esempio abbiamo visto che può spingersi fino in Amazzonia. Ma se vogliamo capire se è radioattiva dobbiamo analizzarne dei campioni. Meglio se provenienti da diversi luoghi, meglio se legati a una stessa tempesta di sabbia. Così ha fatto un team di ricercatori sfruttando gli eventi che nella primavera del 2022 toccarono l’Europa e chiedendo aiuto a cittadini della zona centro occidentale. Scoprendo che lo è ma non in maniera pericolosa, e gettando luce anche su altri aspetti interessanti.
Partiamo dall’inizio. Che motivi ci sono, per chiedersi se è radioattiva la polvere che arriva dal Sahara? Non si tratta di semplici monitoraggi ambientali. Il tema è questo: nel poligono di Reggane, in Algeria, agli inizi degli anni Sessanta furono condotti dei test da parte della Francia. Questi test, racconta oggi lo studio in questione, pubblicato sulle pagine di Science Advance, sono stati al centro di timori da parte della popolazione ogni qualvolta si verifichino tempeste di sabbia che si spingono fin dalle nostre parti. Ma c’è davvero motivo di preoccuparsi in Europa? Le polveri del Sahara sono davvero radioattive? E quella radioattività è imputabile davvero ai test della Francia degli anni Sessanta? Sono queste le domande cui hanno provato a rispondere i ricercatori guidati da Yangjunjie Xu-Yang della Université Paris-Saclay, aggiungendo la loro a una mole considerevole ormai di ricerche sullo stesso tema.
Per farlo, come accennato, hanno chiesto la collaborazione dei cittadini, chiamati a raccogliere campioni di polveri in occasione di una tempesta di sabbia particolarmente forte, quella della primavera del 2022, monitorata dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service (Cams) dell’Unione Europa. Ed è unicamente a questo evento che si riferisce l’analisi di oggi.
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Lo studio sulla polvere del Sahara
Non tutti i campioni raccolti sono stati analizzati, ma solo quelli (una cinquantina) che era plausibile arrivassero da lontano e dalla zona incriminata, ovvero dall’Africa nord-occidentale. Su queste i ricercatori hanno effettuato analisi approfondite, quali analisi di geologia, mineralogia, morfologia e, ovviamente, chimiche, ma sono stati anche modellati i possibili tragitti percorsi. Nel dettaglio sono stati analizzati i rapporti tra gli isotopi radioattivi del cesio e del plutonio, e i risultati hanno confermato una contaminazione radioattiva da parte delle tempeste di sabbia. D’altronde che la sabbia del Sahara potesse essere radioattiva non è una sorpresa né una notizia, ricordano gli stessi esperti. La storia raccontata da quei granelli però è un pochino più complessa e meno allarmante di quanto possa sembrare a una prima lettura.